Note liete e annosi aspetti critici. Ma una cosa è inaccettabile alla casa circondariale della Dozza: su una popolazione che viaggia ben oltre le 700 presenze, sono in servizio solo 4 educatori. Figure di riferimento per il percorso riabilitativo dei detenuti, il cui compito è mortificato da un ministero della Giustizia sordo all’esigenza di un nuovo bando e di una gestione più attenta di questo indispensabile servizio. Quattro educatori su oltre 700 detenuti. I più fortunati tra i reclusi hanno la possibilità di un incontro all’anno. All’incapacità di dare risposte da parte dello Stato, replica una Bologna che ha in servizio all’interno della struttura circa 400 volontari.
Con la visita di ieri alla “Dozza”, sezione maschile e femminile, termina il mio giro attraverso gli istituti penitenziari di Bologna. Venerdì 8 ero in visita al minorile di via Pratello.
“Il Pratello”: tetto da rifare e questo danno, provocato da maltempi e terremoto tra il 2011 e il 2012, rende inagibile il secondo piano, con celle e aule laboratorio non servibili che ridimensionano notevolmente gli ambienti di vita dei detenuti. In attesa di ristrutturazione anche l’area verde esterna, ora limitata ad un campetto da calcio raggiungibile attraverso un camminamento insicuro. Da notare che i carcerati del Pratello hanno una età che va dai 14 ai 25 anni, immaginate come può essere vivibile per loro una struttura senza un’area verde all’aperto, e senza adeguati spazi dove sfogare le energie che a quell’età non mancano. Al Pratello si prende il diploma di scuola media e si possono seguire corsi di cucina con lo chef del Bologna calcio. Qui, come alla Dozza, eccezionale e numerosa l’azione delle associazioni di volontariato.
Via del Gomito: alla casa circondariale le strutture sono in costante rincorsa di una manutenzione ordinaria. L’edificio è vasto e ospita oltre 700 detenuti. Due i fiori all’occhiello: “Gomito a gomito”, la sartoria delle detenute (purtroppo riesce a far lavorare solo 4 detenute – non è semplice organizzare un progetto simile in un carcere) che lavora per Ikea Casalecchio di Reno e produce borse, e Fid “Fare impresa in Dozza”, officina meccanica di proprietà dei tre colossi del packaging Gd, Ima e Marchesini, che assumono direttamente come dipendenti con contratto nazionale i detenuti dell’istituto penitenziario (ad oggi sono mediamente 12). In entrambe i casi si formano lavoratori e li si avvia ad una professione da continuare all’esterno. Alla Dozza si studia per conseguire tutti i diplomi scolastici e la grande maggioranza delle facoltà dell’Alma Mater. Alla Dozza c’è un braccio di reclusione per i giocatori della locale squadra di rugby. Chiaramente giocano sempre in casa, e la difficoltà sta nel rendere affiatata una squadra i cui membri cambiano periodicamente per i fine pena.
Per concludere
Se devo racchiudere tutte le sensazioni ed impressioni in una sola frase, dico che dove deve arrivare lo Stato, la situazione è da malattia cronica e dove invece possono intervenire direttori, uffici e polizia penitenziaria, il quadro è più luminoso e capace di dare speranza. Magari debole e solo per alcuni, tuttavia presente e concreta.
E’ allarmante inoltre la somiglianza tra i due processi detentivi. Non c’è infatti molta differenza tra quanto vive un 15enne al Pratello rispetto ad un 45enne alla Dozza. Questo è il secondo enorme limite della carceri italiane. Il primo è il consolidato essere luoghi atti a recludere e non a reinserire in società. E l’assenza di educatori nella struttura ne è una causa.
Il mio impegno nei prossimi giorni, sarà quello di sottoporre le pesanti criticità al Ministero.
Seguitemi…
-MM-