Annate di sofferenza idrica come quella in atto non sono una novità. Tuttavia la presenza di altre critiche contingenze rendono necessario un approccio più ampio al problema. Prendendo come riferimento la Diga di Ridracoli, nel cuore di questo secco inverno ci sono 20 milioni e 860mila metri cubici di acqua, poco sopra il 60% della capacità totale. Normalmente il mese di febbraio vede invece l’invaso al limite della tracimazione, con 30/33 milioni di metri cubici di acqua presenti. Ma ad inverni poco piovosi, generalmente seguono primavere più “bagnate” e in grado di colmare l’invaso tra marzo e aprile. Analogie con questo 2016 si trovano nel 2012 (9 milioni di metri cubici a febbraio) e nel 2007 (11 milioni), tanto per limitare la ricerca all’ultimo decennio.
Simili sofferenze idriche sono state rilevate in queste settimane dall’Aipo, Agenzia interregionale per il Po, con le portate del corso d’acqua e relativi affluenti caratterizzate da un andamento di inferiorità rispetto allo zero idrometrico, significativamente inferiore rispetto agli anni passati. A rendere però più complessa la situazione è che, a differenza del passato, siamo arrivati a questo inverno dopo due anni capaci di battere ogni record di caldo. In Romagna il 2015 è stato il secondo anno più caldo, dopo il 2014, dal 1900, con un’anomalia positiva di +1,4°C rispetto al valore climatologico del periodo 1971-2000. Se a questi dati aggiungiamo che nei mesi di novembre 2015 e dicembre 2015, lo scarto climatico delle piovosità è stato pari rispettivamente a -72,8% e -85,1%, e che medesimo andamento si è riscontrato nelle prime due decadi del mese di gennaio 2016, rispettivamente -51,8% e -73,8%, allora la questione si complica, anche in virtù di un arco alpino che, stante le cose, consegnerà poca acqua alle valli e ai fiumi durante la prossima primavera.
In questo quadro, che unisce sofferenze ricorrenti a caldi eccezionali, ho presentato un’interrogazione al Ministero dell’Ambiente e delle Politiche agricole e forestali. Lo scopo vuole essere quello di sollecitare un piano di studio ed intervento preventivo che possa fronteggiare l’alto rischio siccità. Se è vero che ad inverni poco piovosi fanno seguito primavere con più precipitazioni, è altresì evidente come le ultime annate di caldo record abbiano già arrecato non poche sofferenze al comparto agricolo. I fattori di rischio non sono quindi solo limitati alla contingenza di un inverno asciutto. Prima di sbattere i denti contro un’emergenza idrica, è bene che lo Stato sia preparato ad affrontare questa crisi prima di ritrovarci davanti al danno compiuto.