Ieri alla Camera, nella Sala Aldo Moro, abbiamo ospitato l’evento “Professioni, mestieri e arti al tempo del coding”.
Una mattinata di confronto intenso dove, insieme a rappresentanti di imprese ed università, abbiamo prima discusso dei risultati e dei prossimi obiettivi di “Programma il Futuro”, poi di quale ruolo abbiano, e che dovranno acquisire in futuro, le competenze informatiche e digitali nel processo di crescita economica e sociale del nostro Paese.
23 mila insegnanti coinvolti, 54 mila classi, un milione e mezzo di studenti, 10 milioni di ore di formazione. Questi sono i numeri di “Programma il Futuro” da inizio progetto, presentati da Enrico Nardelli e Giorgio Ventre del CINI, Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica.
Se solo si pensa che due anni fa, di questi tempi, le classi interessate erano 1200, gli insegnanti 450 e gli studenti solo 22 mila, i numeri di oggi rendono me, e tutti gli altri colleghi attivi nel progetto, orgogliosi di quanto fatto fino ad adesso.
Nell’era digitale, è fondamentale apprendere l’informatica e il pensiero computazionale che viene prima di essa. Questo è il primo insegnamento della mattinata.
Per usare una proporzione, la programmazione informatica sta al pensiero computazionale come il linguaggio sta al pensiero. E data l’impossibilità di parlare senza prima aver pensato necessariamente a cosa dire, è ancor più difficile programmare senza disporre delle adeguate capacità e competenze logiche. Abilità che, in primo luogo, è la scuola a dover insegnare.
È fuor di dubbio che, al giorno d’oggi, il pensiero computazionale sia un’abilità culturale fondamentale per ogni cittadino. Proprio grazie a “Programma il Futuro”, si sono poste le basi per investire in modo concreto su di esso.
Ma, come ricorda Antonio Samaritani, direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitale, nel nostro Paese si riscontrano, ancora, diverse problematiche a livello di interpretazione strategica dei vantaggi competitivi offerti dal digitale.
Per questo motivo, la scuola deve essere una palestra dove sviluppare, attraverso un confronto costante tra insegnanti e studenti, discussioni intorno al digitale come leva di competitività economica e sociale.
In questo contesto, come possono inserirsi le imprese? Cosa possono fare per accrescere la consapevolezza dell’importanza del digitale?
Coraggio e formazione sono le due parole chiave. Le imprese, di qualunque dimensione, devono in primis accettare questa sfida e prevedere poi percorsi di formazione rivolti sia al proprio interno che all’esterno. E se è innegabile che esistano delle barriere, strutturali o concettuali che siano, ancor più vero è che il digitale sia un ottimo strumento per abbatterle.
Quello della formazione è un punto cruciale. E proprio a partire da questa, dobbiamo riconoscere e raccontare cosa sia la trasformazione digitale che stiamo vivendo e attraverso la quale stiamo riprogettando un futuro migliore per l’Italia.
“Non bisogna aver paura dell’innovazione”. Questo il monito finale e conclusivo di Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale.