Riforme: non basta la parola referendum

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photo105772830069729290Non basta indire un referendum per avere democrazia. Questa la sintesi del mio primo intervento in aula di questa settimana, nel corso del dibattito sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi. Un cambiamento incisivo che riguarderà il 35% degli articoli della Costituzione, circa il 58% della sola Parte seconda del testo. Una riforma su 39 articoli che toccherà la composizione del Senato, non più elettivo ma composto da consiglieri regionali, il superamento del bicameralismo paritario, l’abolizione del Cnel, la riduzione dei parlamentari e dei costi di funzionamento dello Stato. Un’operazione, quella del Governo, che lo stesso esecutivo vuole portare a referendum per l’autunno prossimo. E qui arrivo io.

Punto primo – La riforma Renzi-Boschi è complessa in virtù dell’eterogeneità dei temi che affronta: riunire le modifiche che intende apportare in un unico quesito limita la libertà di scelta. Il novero degli interventi va dalla composizione del Parlamento, alla procedura per la dichiarazione dello Stato di Guerra. Stravolge l’iter parlamentare delle leggi, la composizione del Senato. Questa complessità di temi non la si può ridurre ad un “sì o no”. Sarebbe una violazione dello stato di diritto poiché non rispetta la libertà di scelta. Costituirebbe una violazione di sentenze e trattati internazionali, come il “Codice di buona condotta sui referendum“, approvato a Venezia nel 2007. Convenzioni che impongono come il quesito debba essere puntuale, omogeneo e categorico. E non è certo il nostro caso.

Punto secondo – Per come annunciato dal Governo, questo referendum ha il sapore del plebiscito. Un esame autunnale al Governo Renzi, che dice “ci metto la faccia”, violando il concetto basilare di questa consultazione: si va a votare la riforma o il futuro di Renzi? Aggiungere questo significato al referendum è un’altra violazione della libertà di scelta: posso gradire il mandato in corso, ma non un Senato che perde la sua elettività attuale.

Un referendum ha una sola funzione: far scegliere i cittadini. E per una corretta applicazione di questo diritto, è necessario metterli nella condizione di farlo. Altrimenti si viola lo stato di diritto sulla libertà di scelta, attualmente negata da questa prospettiva. Lo scenario attuale prevede un quesito unico su una moltitudine di temi. Ne conseguirà confusione comunicativa, altra violazione dei codici referendari.

La mia richiesta, che porterò avanti insieme ai Radicali italiani, è che i promotori del referendum definiscano una consultazione a quesiti parziali. Quesiti che portino al giudizio del popolo italiano i vari temi che affronta questa riforma.

In autunno non distribuiamo le pagelle al Governo, ma definiamo il futuro della nazione

2016-04-12T13:09:57+00:00